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Tutte le notizie del sito di cui Massimo Pavan è Vicedirettore

sabato 5 giugno 2010

QUALCUNO SAPEVA....

Nei giorni scorsi avevamo riportato un interessante articolo di Gad Lerner, sottolineando come qualcosa si muovesse anche dall’altra parte della “barricata”, o se volete sulla “sponda opposta del fiume”.
Oggi riportiamo alcuni tratti di un’interessante intervista a Tavaroli, comparsa su Repubblica.
Sorvolando sulle parole iniziali, riportiamo questi tratti, altamente interessanti.

È proprio vero che stavate aiutando l'Inter di Moratti contro Luciano Moggi?
"La pratica Ladroni, come la chiamavamo noi, riguarda le indagini sui rapporti tra la Juventus e gli arbitri. Volete sapere a quando risale? Al 2002... Succede che un arbitro bergamasco, ammiratore e amico di Giacinto Facchetti, anche lui bergamasco, un giorno scoppia e gli racconta i retroscena di quella che sarà Calciopoli. All'Inter vanno in fibrillazione, si spiegano alcune espulsioni, alcuni rigori assurdi e così Tronchetti consiglia a Moratti di chiamarmi".
Siete andati dalla magistratura?
"Era quello che volevo, ma la situazione è complessa e do a Moratti l'unico suggerimento possibile, e cioè portare Facchetti, come fonte confidenziale, dai carabinieri. Può parlare, resterà anonimo, l'indagine comincerà".
All'Inter che dicono?
"Tentennano, preferiscono non esporre Facchetti, forse hanno paura, io non posso intervenire più di tanto. Moratti mi dice che ha capito come stanno le cose e ne soffre, è preoccupatissimo, ma non vuole distruggere il calcio italiano. Allora che cosa possiamo fare? Si prepara un documento, che finisce sui tavoli dei sostituti procuratori Francesco Greco e Ilda Boccassini. E l'arbitro, convocato, va in procura, ma non è così facile come sembra... Fa scena muta. L'inchiesta Calciopoli non parte quindi da Milano, com'era possibile, ma partirà qualche anno dopo, a Napoli".


Da queste parole risultano chiare alcune cose: primo che qualcuno stava indagando precedentemente tramite i “si pensa” e ”i sentito dire”. Secondo: che quando c’è stato da raccontare alla magistratura, si preferiva muoversi di nascosto, anonimamente piuttosto che di persona, affrontando di petto le situazioni.
Anche in questo caso ci sono, secondo noi, molti dubbi e pochissime prove. I sentito dire di allora ci ricordano i sentito dire dei testimoni ai processi. Quei sentito dire e quelle cose parziali hanno portato a un risultato, distruggere una società di calcio e alcune persone…
Un ragionamento finale: come vi sareste comportati sapendo che siete intercettati, che linguaggio avreste tenuto nelle conversazioni telefoniche? Fatevi alcune domande e magari capirete come mai nelle intercettazioni compaiono solo alcuni….e non tutti tutti…

dI SEGUITO TUTTO L'ARTICOLO DA REPUBBLICA
"Ho letto ovviamente i nuovi verbali di Tronchetti Provera". Scuote la testa: "E l'ho anche visto in tv in un'intervista sdraiata di Fabio Fazio, a prendere le distanze da me, a dire che quasi manco mi conosceva".

Ma, scusi, Tavaroli, si è sentito offeso?
"A livello personale non m'importa, qua c'è un'offesa professionale. E posso consentire ai giornalisti e ai magistrati di scherzare, al mio datore di lavoro no. Tronchetti sa bene che mentre lavoravo per lui ho fatto conferenze alla Nato, e anche in decine di università, perché la nostra Security aziendale era un modello. Adesso, tentano di farci passare, attraverso i loro avvocati, come un'accozzaglia di manigoldi. E lui? Fa finta di niente".

Ma lei e il dottore che rapporti avevate?
"Lui sembra voler interpretare il ruolo del gran signore che ha avuto un maggiordomo un po' infingardo, faccia pure, Tronchetti. Perché in effetti mi sono occupato anche di questioni personali e familiari... "

E cioè?
"Bah, gli esempi sono tanti. Un Natale mi chiama perché le figlie, di ritorno da Saint Moritz, sono state controllate e fermate in frontiera, e io a mia volta chiamo e corro. A Pasqua, un'altra emergenza. Bisognava aiutare il figlio di un amico, un ragazzo con seri problemi, che doveva finire in comunità, ma andava in giro. Tronchetti e il padre avevano paura che potesse commettere delle stupidaggini, eccoci qua, siamo noi che ci attiviamo per farlo sorvegliare ventiquattr'ore su 24, meglio di una mamma. Cose normali, sacrosante, per carità, ma... ".

Ma nell'udienza preliminare, il dottore sostiene che vi vedevate poco, lo stretto indispensabile.
"Non ci vedevamo certo tutti i giorni, ma certo che ci sentivamo e, quando serviva, viaggiavamo anche insieme. E nei casi di emergenza era Tronchetti, o la sua segretaria personale, che mi chiamavano. Bastava chiedere alla mitica signora Longaretti come stavano le cose".

Anche con i tabulati telefonici si sarebbe potuto ricostruire la dinamica dei rapporti. È stato fatto?
"Non mi risulta, sarebbe stato davvero utile analizzarli per dimostrare quanto la Security vivesse "dentro" l'azienda e per l'azienda lavorava. Come investigatore, mi chiedo come mai in Procura non siano state passate in rassegna nemmeno le mie mail, che raccontano giorno per giorno che cosa fosse, nella realtà e non nella fantasia, la sicurezza di Pirelli e Telecom, la nostra vera storia. Sin dall'inizio ho chiesto che fossero esaminati i nostri computer, erano la cartina di tornasole più chiara".

Anche questo non sarà stato fatto dai sostituti procuratori...
"Esatto, non mi risulta".

Ma si troveranno questi vostri computer che erano stati sequestrati?
"Spero di sì, specie se qualcuno vuole capire".

Ci aiuti a capire lei come funzionava. Per esempio, il dottore l'ha chiamata per proteggere qualche persona importante in difficoltà?
"Più d'una volta. Mi chiamò per il suo amico Luca Cordero di Montezemolo, quando dovevano eleggerlo presidente di Confindustria. Vado da Tronchetti e vedo uscire Cesare Romiti. Il quale, mi dicono, non voleva che Montezemolo si presentasse, e parlava di un verbale giudiziario degli anni Ottanta, una vecchia inchiesta di Torino".

Lei è sicuro di quello che sta dicendo?
"Per appurare la questione, mi muovo con il mio collaboratore Sasinini, operiamo sul pm di Biella o di Asti, comunque un magistrato vicino al procuratore Giancarlo Caselli. Sasinini chiama il pm e organizziamo a casa di Tronchetti un pranzo con Caselli".

C'è stato questo pranzo?
"Che c'è stato è sicuro, ma io non ho partecipato".

Risulta un'indagine vostra sull'ingegner Carlo De Benedetti. È sempre Tronchetti a ordinarle il report sulle utenze, soprattutto elettriche, delle case dell'ingegnere, per sapere quanto tempo passa all'estero?
"Eh, si sa che in vari momenti tra i due non correva buon sangue".

È proprio vero che stavate aiutando l'Inter di Moratti contro Luciano Moggi?
"La pratica Ladroni, come la chiamavamo noi, riguarda le indagini sui rapporti tra la Juventus e gli arbitri. Volete sapere a quando risale? Al 2002... Succede che un arbitro bergamasco, ammiratore e amico di Giacinto Facchetti, anche lui bergamasco, un giorno scoppia e gli racconta i retroscena di quella che sarà Calciopoli. All'Inter vanno in fibrillazione, si spiegano alcune espulsioni, alcuni rigori assurdi e così Tronchetti consiglia a Moratti di chiamarmi".

Siete andati dalla magistratura?
"Era quello che volevo, ma la situazione è complessa e do a Moratti l'unico suggerimento possibile, e cioè portare Facchetti, come fonte confidenziale, dai carabinieri. Può parlare, resterà anonimo, l'indagine comincerà".

All'Inter che dicono?
"Tentennano, preferiscono non esporre Facchetti, forse hanno paura, io non posso intervenire più di tanto. Moratti mi dice che ha capito come stanno le cose e ne soffre, è preoccupatissimo, ma non vuole distruggere il calcio italiano. Allora che cosa possiamo fare? Si prepara un documento, che finisce sui tavoli dei sostituti procuratori Francesco Greco e Ilda Boccassini. E l'arbitro, convocato, va in procura, ma non è così facile come sembra... Fa scena muta. L'inchiesta Calciopoli non parte quindi da Milano, com'era possibile, ma partirà qualche anno dopo, a Napoli".

Davanti al gup Mariolina Panasiti s'è molto parlato dei dossier sull'ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi.
"In una riunione con Carlo Buora, Tronchetti e Rocco di Torre Padula si fa il punto su come la stampa parla dell'azienda. Non bene, ci sentiamo sotto tiro e c'è il sospetto che sia la Casiraghi a soffiare le informazioni ai giornalisti. Nasce così la decisione di capire meglio".

Glielo consegnate fisicamente il dossier?
"A lui bastava quello che riferivo io. Un solo dossier legge di sicuro, quello relativo alla cognata, la signora Soriani, la seconda moglie del fratello, della quale durante l'interrogatorio davanti alla Panasiti, dice di non ricordarsi nemmeno il cognome... ".

Lei adesso è uscito dal processo Telecom e ha patteggiato la condanna per truffa e associazione per delinquere. Si sente uno sconfitto?
"No, e nemmeno un capro espiatorio. Mi sento di avere pagato i miei debiti e i miei errori, altri non l'hanno fatto. Io e la mia famiglia sì, e a caro prezzo. Ieri a scuola, mia figlia, di sette anni, si sente dire da un amichetto: "Tuo papà ha fatto delle cose brutte". Ma questo è inaccettabile, perché non ho fatto nulla di brutto, se non proteggere un'azienda, le sue strutture, i suoi uomini. Sono finito in un'inchiesta che non è arrivata alla verità e mi sa che il marasma non è ancora finito, perché comincia il processo per rito ordinario, quello che vede Emanuele Cipriani, il titolare dell'agenzia di investigazioni accusata dei dossieraggi illegali, come principale imputato. Immagino che lui mi chiamerà a testimoniare in aula, a settembre. E, come testimone, ho l'obbligo di dire la verità, e non posso nemmeno avvalermi della facoltà di non rispondere".

Lei, dunque, spera di ricevere finalmente le domande giuste? Sia il gip Gennari che il gup Panasiti, rimandando gli atti alla procura, hanno chiesto di indagare di più...
"Se lo dicono loro... Io sono stato un maresciallo dei carabinieri, sezione antiterrorismo, e la mia carriera successiva nasce dalla strada, non dalle raccomandazioni della politica. Quando mi sono congedato, sono stato chiamato da un cacciatore di teste a lavorare per Italtel e quando entro in Pirelli, il primo aprile del 1996, Cipriani è già lì. Lavorava sotto il manager Sola. Io, Cipriani e Marco Mancini non siamo dunque "tre amici al bar" che cercano di creare una combriccola a danno di Pirelli. Non ho portato via un euro, se molti credono che taccio perché ho un tesoretto all'estero, sbagliano. Tronchetti non mi ha coperto d'oro per non parlare e non sono stato zitto, è stato lo stesso gip Gennari a dire che ho collaborato. Non ho nulla di più dei miei stipendi. Ho il mio lavoro, un curriculum di tutto rispetto che hanno provato a infangare per salvare il presidente".

Il quale si è costituito parte civile contro di lei.
"Sì, lui e Afef. Ma siamo seri, che cosa volete che me ne importasse di indagare sui familiari di Afef? Tronchetti è un codardo, non ha avuto il coraggio di prendersi le sue responsabilità sui report che ci chiedeva, ha preferito offendere la dignità dei professionisti al suo servizio".

Ma lei e Cipriani siete amici o no?
"Sono amico di Mancini e ho un rapporto di conoscenza con Cipriani, punto e basta. Quando stavo in Italtel non mi sono mai servito dell'agenzia di Cipriani. Lo rincontro a Firenze tra il 78 e il 79. Lui faceva il funzionario di banca, ma fremeva per fare l'investigatore. Il suo idolo era Mancini, che lavorava per i servizi. Cipriani fa domanda per entrare nel Sisde, ma non ce la fa. Apre allora un'agenzia di investigazioni. Le nostre frequentazioni sono diverse. Per intenderci, io l'oratorio e gli scout, lui i figli di papà... ".

Ora siete grandi e, all'apice delle carriere, siete incappati nella legge.
"Già e quando scoppia l'inchiesta, passano sei mesi in cui non succede nulla. Io lavoro in Romania, poi a gennaio mi chiama Tronchetti Provera, che preme per riavermi in azienda in Italia. Facciamo una riunione con il capo del personale Gustavo Bracco e il capo del legale Francesco Chiappetta e lo stesso Tronchetti. Pensano di ripristinare, sempre con me a capo, un servizio più limitato di Security. Sempre a gennaio, c'è un altro incontro con Tronchetti, ed è presente anche il funzionario Valente. Il presidente si mostra preoccupato perché, mi dice, Cipriani ha consegnato alla Procura la password del dvd, e cioè la chiave del "forziere" che conteneva tutti i dossier della Polis d'Istinto. E là esistono anche due o tre pratiche che fanno paura a Tronchetti Provera, e lui stesso mi cita alcuni file sui politici, Fassino e D'Alema, che sono citati in Oak Fund, e Aldo Brancher".

E che cosa pensate di fare?
"Le ipotesi sono tante, ma in realtà l'azienda si paralizza. Si muove solo dopo la procura, e quando sa di non poter agire diversamente. E a me cambiano le carte sul tavolo. A giugno 2006 vengo licenziato, mi buttano a mare, prendono le distanze. Da gennaio a settembre 2006 mi cucinano e a settembre vado in galera. Un anno, di cui otto mesi e 13 giorni in isolamento. Del resto Tronchetti Provera conosce bene il metodo per far fuori qualcuno, quando arriva in Pirelli mandato da Mediobanca. Riesce a dare l'ultima spallata a Leopoldo Pirelli, ai tempi di Tangentopoli, quando lui e i manager vanno in procura. Indicativo sarà il discorso che Alberto Pirelli fa alla commemorazione del padre".

Ma, secondo lei, l'inchiesta milanese ha mai puntato a Tronchetti?
"Forse all'inizio, ma non so... Tronchetti mese dopo mese contava sempre di meno sullo scacchiere degli affari. Anzi, mentre Tronchetti tratta l'uscita di scena con il banchiere Giovanni Bazoli e la vendita di Telecom è ormai considerata cosa fatta, l'inchiesta finisce, puf".

Ma Tronchetti perché avrebbe avuto bisogno di lei per contattare chicchessia?
"Sì, so che dice così, ma è falso. Ovvio che poteva avere contatti con chiunque, ma è anche vero che c'era gente come D'Alema e Tremonti che non ci tenevano a vederlo".

E lei che cosa fa?
"Sono io che gli ho fatto fare la pace con D'Alema, per il tramite di Lucia Annunziata, e lo stesso con Tremonti, attraverso l'ex ufficiale della finanza Marco Milanese, che io conoscevo e che lavora con lui, ora è onorevole. Tronchetti confonde i contatti formali con quelli sostanziali. Per quelli formali c'era Perissich e Rocco di Torre Padula. Per gli altri, serviva il fido Tavaroli, ora rinnegato".

Lei dà del falso a Tronchetti, che invece fa l'anima bella, perché ha mentito in altre occasioni?
"Per esempio quando dice che le indagini su Oak Fund sono del 2005, invece sono nate nel 2001, dopo l'acquisto di Telecom dalla cordata di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Voleva sapere a chi erano andati parte dei soldi versati per l'acquisto di Telecom. Si pensava a una parte politica, la sinistra, a cui Tronchetti dava fastidio".

Fastidio?
"Sì, era entrato con i piedi nel piatto in Telecom, appetito da tanti. Voleva fare l'imprenditore indipendente e questo può comportare dei rischi. Ora infatti è sceso a patti con la politica, è nei ranghi, è diventato manovrabile come tanti, tanti altri. Forse è quello che volevano, farlo tornare a più miti consigli. Era una minaccia al potere, non era il potere. Ma di mezzo ci sono finito io, con la mia famiglia".

5 commenti:

  1. tavaroli conferma solo quel che si sapeva, cioe' che un arbitro bergamasco invidioso (Nucini giusto Massimo?) semina veleno per poi dire niente in procura... dovra' dire altro in tribunale, cioe' se la security telecom ha manovrato, come sembra, nastri e bobine. Il problema, alla fine, e' che come si e' visto, le telefonate dall'altra sponda c'erano ma sono state occultate... che poi Moggi e c. fiutata l'aria usassero le schede svizzere ormai mi sembra logico e giustificabile...

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  2. portate le prove di tronchetti, intercettazioni, interviste, video tape.......portate tutti i tabulati delle sim..... poi vediamoci chiaro con i tabulati delle sim svizzere scopriamo cosa si dicevano moggi e bergamo perché secondo me si accordavano su quanta pancetta serve per la carbonara.....dai smettetela di essere ridicole tutte queste interviste e lasciate stare facchetti, e poi caro signor tavaroli mi sa che con questa intervista a la repubblica rischia grosso per diffamazione...

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  3. Caro Mario,
    bene, portiamo tutti i tabulati delle SIM svizzere, però richiediamo se possibile anche tutte le telefonate che han fatto Facchetti e gli altri. Quando si parla di Moggi ci si dimentica sempre che è stata l'unica persona messa sotto processo e intercettata (insieme ad altre, ma il principale accusato e architetto di tutta questa storia è lui). Si chieda poi perchè Tavaroli parla di intercettazioni già nel 2002, mentre Moratti afferma di averlo conosciuto solo nel 2003. Si chieda se è giusto che qualcuno, venendo a sapere di un procedimento illecito (intercettaioni e pedinamenti illegali) nei propri confronti si tuteli con le SIM svizzere. Si chieda se un processo a senso unico è giusto. Mi spieghi perchè nella sentenza sportiva le SIM svizzere hanno rilevanza quasi nulla ed adesso è rimasto l'unico argomento sul quale attaccarvi, quasi come se fosse la colpa fondamentale. Mi spieghi perchè Nucini si presentò davanti alla Corte dicendo di avere ricevuto una scheda svizzera, ma di averla poi buttata dal finestrino (!!!!!). Mi spieghi infine perchè lasciar perdere Facchetti, visto che anche lui è stato trovato spesso al telefono con i designatori (e stia attento, il vostro ex-presidente non era intercettato), a parlare di 4-4-4 e regalini . Ci faccia un pò di chiarezza su queste cose e le assicuro che la smetteremo con queste "ridicolaggini" (come le ha definite lei). Sempre se lei sia capace di farlo. Ho i miei dubbi.

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  4. c'è un notaio, vari giornalisti, vari personaggi che hanno partecipato ai sorteggi che hanno garantito sulla totale regolarità di quest'ultimi. NON ESISTE UNA TELEFONATA IN CUI MOGGI (O BERGAMO O PAIRETTO) FACCIA PRESSIONI SU UN ARBITRO O CHIEDA ESPLICITAMENTE FAVORI (cosa che invece esiste per facchetti). Vi state aggrappando disperatamente a questa storia delle schede svizzere, sperando che sia l'ancora di salvezza per un processo che va a rotoli e che vi ha trascinato nel fango. Quando adesso si scopre che Moratti e compagnia facevano pedinare e intercettare ILLEGALMENTE moggi e tanti altri personaggi dello sport. E allora io mi chiedo: anche se si fossero messi d'accordo per favorire la juve moggi e i designatori usando le schede svizzere, come diavolo è possibile pilotare i sorteggi con un notaio e decine di giornalisti davanti? (e ricordo che tra i giornalisti c'erano anche quelli della carta straccia rosa che vi ha riempito la testa di queste baggianate). Quante altre prove vi servono per farvi entrare nella testa che è stato creato un processo alla juve sui sussurri, sulle sensazioni e sugli articoli della gazzetta dello sport? Eh signor Mario?

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